lunedì 2 luglio 2018

Libera nos, Dzyuba

Chiariamoci subito: la Federazione Russa è nata dal crollo dell'Unione Sovietica e noialtri che abbiamo scritto Calcio e Martello lo sappiamo fin troppo bene. L'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche non esiste da più di vent'anni e lo stato russo, ad eccezione dell'Inno le cui parole sono state cambiate a musica immutata, ha adottato una bandiera che i bolscevichi hanno osteggiato e combattuto per anni.
Fatta questa doverosa introduzione, possiamo spendere qualche parola sulla selezione calcistica della Federazione Russa in relazione, ovviamente, a quanto sta accadendo ai Mondiali. La Russia veniva data per spacciata nella fase ai gironi: l'Uruguay ha mostrato i muscoli contro la squadra di Stanislav Čerčesov e ha piegato senza troppi sforzi la sbornaja che non sembrava affatto quella di qualche giorno prima contro Egitto e Arabia Saudita. Le previsioni sembravano averci visto chiaro: dopo un avvio scoppiettante, ecco la Russia che si piega sotto i colpi di Vecino, Cavani e Suarez, in fondo "Egitto e Arabia Saudita non erano al livello della nazionale russa".

La Russia deve rifarsi da un proprio Mineirazo: l'eliminazione dalla fase a gironi nel campionato europeo di appena due anni fa. Inghilterra, Galles e Serbia sconquassarono e stordirono la nazionale tricolorata tanto da farla uscire quarta e con solo un punto. Le incertezze sulla tecnica e sulla qualità della selezione russa, all'indomani del Mondiale, sono tante e, nonostante giochi in casa, nessun commentatore  o notista sportivo scommette sul successo degli uomini di Čerčesov, anzi.
Come spesso accade in questi casi, però, la stampa italiana non brilla e «Repubblica», all'indomani della gara d'esordio del campionato mondiale, scrisse che «la nazionale aveva bisogno di riscatto» tanto che sarebbe stato Putin stesso a dichiarare di aspettarsi «un grande risultato: in realtà per lui la vittoria è l'autocelebrazione di se stesso e del suo zarismo anni 2000». E menomale che è «Repubblica» e non è Lercio. Pur di non parlare di calcio, meglio parlar di Putin, sport nazionale di qualsiasi iscritto all'ordine dei giornalisti dello stivale: le notizie con oggetto il Presidente Russo vengono molto cliccate dagli utenti italici, a quanto pare.
Al di là di discutibili articoli giornalistici, la Russia non avrebbe superato la prima fase del campionato del mondo, secondo qualsiasi fonte di stampa nazionale e non.

Il girone avrebbe aiutato, sì, ma l'Egitto (leggi: Mohammad Salah) avrebbe dato filo da torcere alla debole difesa russa, così come ad Akinfeev, non proprio uno Yashin: tutt'altro (la papera ai mondiali del 2014 contro la Corea del Sud brucia ancora moltissimo). Troppe defezioni, troppi giocatori che avevano segnato poco nel corso del campionato locale, come Dzyuba stesso, nonostante le buone prestazioni all'Arsenal Tula durante la stagione. Insomma, poco di tutto. E una nazionale che ha  poco di tutto non riesce ad affrontare correttamente un Mondiale.
Buone condizioni, invece, per quel che riguarda la preparazione atletica dei giocatori russi e per quel che riguarda la coesione dei nostri, fattore quest'ultimo da non sottovalutare.
Dzyuba, sostanzialmente, è una riserva della Sbornaja: una seconda linea che, tuttavia, già nel corso della prima partita mostra i muscoli, partendo dalla panchina e segnando il 3-0 di testa.
Una seconda linea che insacca un gol pesantissimo nella partita contro l'Egitto: una delizia per i profani di calcio, una perla per chi mastica tecnica e tattica tutti i giorni. Uno dei gol più "difficili" del mondiale, finora. E non solo a parere di chi scrive. 
Alla faccia della seconda linea, però, Artem Dzyuba (dall'alto dei suoi 196 centimetri!) sta portando in alto la Federazione Russa per la prima volta fra le "grandi" del Mondiale: a seguito della dissoluzione dell'Unione Sovietica, infatti, la Sbornaja non è mai riuscita ad imporsi a livello internazionale.
Dalle nostre parti, nonostante il caldo di Roma, da ieri ha iniziato a spirare un po' di brezza "sovietica" al termine dei rigori con la Spagna. Ci dobbiamo mettere la felpa mentre tutti sono in ciabatte e camicie di lino. E, certo: l'URSS non esiste più e non si inneggia più al socialismo nell'Inno Ma la Spagna allo stadio «Lenin»  di Mosca (ora Lužniki) i franchisti non passano.
E quando parte il Do maggiore la lacrimuccia scende sempre.
да здравствует, Dzyuba!

(marco piccinelli)

lunedì 24 luglio 2017

«Ha scelto i rubli anziché i dollari», dagli USA all'URSS

Dale Mulholland, come gli aficionados del nostro piccolo "Calcio e Martello" ormai sanno a menadito, è stato un calciatore statunitense in forza agli Orlando Lions che, prima del crollo dell'URSS, andò a giocare con la Lokomotiv Mosca. Il quotidiano La Repubblica del 4 marzo 1990 scriveva così: «Anche il calcio dà il suo piccolo contributo alla distensione tra Usa e Urss. Un calciatore statunitense, Dale Mulholland, ha firmato un contratto con una squadra sovietica. Ha scelto i rubli anziché i dollari [...] Non parla il russo, ma ha detto che prenderà lezioni non appena arriverà a Mosca. Non si sa quanto guadagnerà».
Mulholland aveva più volte cercato un contatto con la controparte socialista ma prima per il rifiuto degli stessi americani, poi per quello del Goskomsport non si era riusciti a trovare un accordo accettabile fra le parti. L'idea dello scambio vene soltanto in seguito, dopo svariate pressioni di Mulholland, come riporta il New York Times dell'epoca: «Mulholland, who played for the University of Puget Sound before turning pro, said he had spent four years prodding American and Soviet officials to make his dream come true». Tradotto: Mulholland, che ha giocato per l'Università di Puget Sound prima di diventare professionista, ha dichiarato di aver trascorso gli ultimi 4 anni incoraggiando i funzionari americani e sovietici per far sì che il suo sogno divenisse realtà».

Dale Mulholland con la Lokomotiv Mosca. La capigliatura sovietica anni '80 c'era tutta.
Ovvero, Mulholland voleva (grassetto, corsivo e sottolineato) andare a giocare nel massimo campionato sovietico: «La Russia per me rappresenta la storia, una cultura che stiamo cercando di scoprire, l' architettura, il balletto», aveva dichiarato il nostro, venendo anche ripreso da Repubblica
Ma se La Repubblica parlava di un altro passo verso la distensione tra gli Stati, il NYT lo stesso giorno del sopra citato articolo del quotidiano italiano, dedicava un misero francobollo al passaggio del giocatore di Tacoma al campionato socialista. La sua presenza fu, dobbiamo dirlo, quasi evanescente: dieci presenze e un gol, prima che tutto crollò. Tutto, ovvero, l'Unione Sovietica.
Le Repubbliche Socialiste caddero senza che fu sparso sangue e che venisse sparato un colpo, questa è la retorica più (ab)usata dagli storici. Ma di questo, a Dale Mulholland, non importò molto: rimase in Russia. 
Ora, è allenatore in Indonesia.

(marco piccinelli)

venerdì 7 luglio 2017

Da Breitner a Sollier, quando fare un gol era «rivoluzionario»

di Vanni Buttasi, tratto dalla Gazzetta di Parma di giovedì 6 luglio 2017

Il socialismo reale, il Patto di Varsavia, il Comecon, la guerra fredda, i regimi che controllano tutto e tutti. 
Anche il calcio. 
Lo sport più popolare, anche oltre cortina. Dove le squadre erano la «lunga mano» di chi comandava. E, dove nulla, veniva fatto per caso.
«Calcio e martello» di Fabio Belli e Marco Piccinelli (editore Rogas), con un significativo sottotitolo “Storie e uomini del calcio socialista”, racconta un mondo che non esiste più. Sparito con il crollo delle ideologie e del muro di Berlino. Ma che resiste nei ricordi di chi ha vissuto quelle stagioni calcistiche ricche di campioni e di storie da raccontare ai nipoti. Un mondo svanito nel nulla ma, non per questo, da relegare nell'oblio. Non si possono dimenticare, sarebbe un affronto al calcio, campioni come Lev Yashin, colonna dell'Urss e unico portiere a vincere il Pallone d'oro, o Robert Gadocha, il Garincha polacco che diede spettacolo con Lato e Deyna ai mondiali del 1974 in Germania: ne sa qualcosa l'Italia di Valcareggi. O l'Ungheria di Ferenc Puskas che fece divertire con il suo gioco spettacolare ma perde un mondiale, quello del 1954, in modo incredibile. Le storie sono tante ma su tutte spicca quella dell'attaccante tedesco (dell'Est) Jurgen Sparwasser: fu lui che realizzò il gol della storica vittoria, sempre ai mondiali del 1974, della Rdt (Germania Est) contro i cugini della Rfg (Germania Ovest), che poi vinsero il titolo sconfiggendo in finale l'Olanda. «Stavolta - si legge nel libro - era davvero il comunismo ad avere sconfitto il capitalismo».



Ma, in quegli anni, il calcio era anche contestazione: anche nel football spuntano gli eredi del '68. Così scopriamo le storie di Paolo Sollier, centrocampista dai piedi buoni del Perugia con una ventina di presenze in serie A e sempre pronto a dimostrare le sue simpatie di sinistra; il tedesco occidentale Paul Breitner, un titolo mondiale nel 1974 (quell'anno ritorna spesso nel libro di Belli e Piccinelli) e un gol nella finale persa con l'Italia a Spagna '82 ma soprattutto maoista, capace (però) di rinunciare alla barba da rivoluzionario per fare pubblicità ad un aftershave; infine la Democracia Corinthiana, l'unico caso al mondo di una squadra gestita dai calciatori.

Il ricordo degli anni '70 ci porta anche a parlare del Cesena che, nella stagione 1975-'76, partecipò alla Coppa Uefa e di quella sfida con il Magdeburgo, squadra della Germania Est in cui militava Sparwasser (è sempre lui il protagonista). A parlare di quella sfida è proprio Giancarlo Oddi, difensore romagnolo votato alla marcatura dello scomodo attaccante tedesco. Una partita ricca di episodi dubbi che lo stesso Oddi ricorda ancora con una certa amarezza.
«Calcio e martello» certamente non è un libro didascalico, con tabellini e cronache delle partite: è un libro di sentimenti che racconta un'epoca, ormai finita nella Storia, che consente al lettore di capire quanto fosse importante lo sport, e il calcio in particolare, nei Paesi a regime socialista. 
Era un modo per riscattare la propria condizione sociale ma, soprattutto, per mandare al tappeto l'Occidente dalle idee liberali.
E, proprio in questo caso, l'importanza del risultato era vitale: la vittoria, infatti, era il segno distintivo
che il socialismo reale poteva trionfare.

giovedì 22 giugno 2017

22 giugno 1974, il gol di Sparwasser, la DDR batte la RFG, il socialismo vince.

Il mondiale del 1974 può essere considerato, a ragione, uno dei momenti cruciali e più alti dello scontro calcistico e sportivo in generale fra occidente capitalista ed oriente socialista
L’Unione Sovietica aveva già assestato duri colpi all’economia di mercato facendo sì che il sistema socialista potesse primeggiare nei campi della sanità, dell’istruzione e della ricerca scientificaJuri Gagarin e Valentina Vladimirovna Tereshkova sono ancora oggi due icone che sanno scaldare i cuori dei russi, anche a Muro crollato da tempo. Così come un furioso Kennedy, negli anni della crisi missilistica cubana, prima del fallimento dello sbarco alla Baia dei porci, arrivò a dire pubblicamente: «abbiamo finito per apparire come i difensori dello status quo, mentre i comunisti si presentano come forza d’avanguardia, che indica la via per un modo di vita migliore»
Il campo socialista, in ogni caso, era realtà contrapposta al capitalismo anche in una porzione d’Europa che niente aveva a che vedere col Patto di Varsavia: in Germania, la DDR, era il baluardo del socialismo in pieno Patto Atlantico verrebbe da dire. Nonostante anche Berlino si fosse parzialmente rifugiata sotto il patto di Varsavia per cercare un piano quinquennale / la stabilità sociale, come urlavano i CCCP-Fedeli alla Linea per mezzo delle corde vocali di Giovanni Lindo Ferretti, uno dei personaggi più iconizzati, controversi e discussi della scena punk e alternativa italiana (quando divennero C.S.I. prima e PGR poi).

Sparwasser, ai tempi, era un centravanti del Magdeburg, adattabile anche a mezz’ala qualora la situazione lo richiedesse. I ruoli, volendo usare un’iperbole, nella Germania Est, non avevano così tanta importanza come per i più quotati occidentali Beckenbauer, Breitner, Müller. Il calcio tedesco della DDR era praticato a livello dilettantistico e la quasi totalità dei calciatori della piccola nazione socialista tedesca erano seconde fila dell’atletica leggera.
Gli sport, infatti, nei paesi del campo socialista, non erano professionistici, bensì tutti dilettantistici, nessuno escluso. Compreso il calcio, che da quel mondiale iniziava la lunga scalata delle sponsorizzazioni, dato che quella fu la competizione con le intromissioni degli sponsor sulle maglie dei calciatori (oltre che del golpe in Cile). Le squadre tedesche orientali, in ogni caso, stavano già da tempo iniziando a togliersi dei sassolini in ambito europeo, dato che la Coppa delle Coppe del ’73/’74 la vinse proprio il Magdeburg di Sparwasser, contro una ben più quotata squadra come il Milan.
De Agostini, difensore juventino che ha più volte incontrato sul campo giocatori della Germania Orientale, li ricorda con quella che i partenopei classificherebbero come cazzimma: erano certo maggiormente determinati dei più quotati tedeschi occidentali e non mollavano mai neanche quando tutto sembrava perduto. Tanto che, molti anni dopo del prima citato 1974, De Agostini e la sua pur fortissima Juventus (con Schillaci e Casiraghi nell’organico, tanto per citare due nomi) per poco non risultavano sconfitti in casa dal Karl Marx Stadt, che all’andata si portò in vantaggio al Delle Alpi con Weinhold, lasciando di sale gli avversari e i convenuti allo stadio.

Il mondiale del ’74, in ogni caso, ha una serie di particolarità e di vicende politiche ad esso collegate che sarebbe impossibile enumerare e trattare in modo tale da non risultare eccessivamente schematico o superficiale. Quel che più importa è che al Volksparkstadion diAmburgo, le prime parole (come il resto dell’inno) della DDR, erano cantate da milioni di tedeschi orientali che urlavano a squarciagola quelle espressioni che rimarcavano una differenza tutta a vantaggio degli appartenenti alla Germania Socialista: «Auferstanden aus Ruinen / Und der Zukunft zugewandt», «Risorti dalle rovine / e rivolti al futuro».
Il caso, infatti, volle che nella fase a gruppi vennero inserite proprio le due Germanie nello stesso girone e poco importa che quel mondiale lo vinsero i tedeschi occidentali. Quella partita, Beckenbauer e soci, se la ricorderanno per tutta la vita, così come per coloro i quali esultavano aprioristicamente (ed esultano tuttora guardando la registrazione della partita) per i successi della Germania Est. Era uno scontro che ne racchiudeva una miriade: non c’era solo la politica e il modello di sviluppo a dividere le due germanie ma anche il modo di intendere lo sport. La situazione assumeva realmente i contorni di uno scontro epocale, nonostante fosse una semplice fase a gruppi, come detto prima.
La partita può sembrare già segnata, al lettore che non ha vissuto quell’epoca e che non ha visto coi propri occhi quel confronto che da modelli politici contrapposti si traduceva in lotta calcistica: la Germania Ovest, in fondo, possedeva più mezzi e, certamente, più talenti per poter superare con facilità la Repubblica Democratica Tedesca. Molti dei giocatori tedeschi orientali, infatti, non andarono oltre la DDR-Oberliga e interruppero la loro carriera calcistica con la fine del socialismo in Germania, come Schnuphase (capocannoniere dell’Oberliga nella stagione ’81/’82 e una carriera divisa fra Rot-Weisse Erfurt e Carl Zeiss Jena) o Strässer (anche lui capocannoniere nei primi anni del socialismo e una sola stagione dopo la fine della DDR, con la Glaswerk Jena) ad eccezione di Voegl (che detiene il record delle 400 presenze nel massimo campionato) e Kurbjuweit (che proseguì come allenatore nel VfB Pössneck).
La DDR non può competere coi cugini orientali e la partita non regala grandi emozioni ai presenti, se non svariate occasioni da gol completamente divorate dai cugini occidentali. I primi quarantacinque minuti scivolano via a reti bianche e quasi sembrerebbe che il pareggio, verso cui pare indirizzarsi anche la ripresa, fosse il risultato più ambito in quello scontro politico/calcistico che animava i tedeschi sugli spalti. Tedeschi che brandivano bandiere identiche, se non fosse per un piccolo emblema al centro di esse che faceva cambiare la prospettiva e l’interpretazione di quegli stessi colori. 
Il settantasettesimo della seconda frazione di gioco, però, è il momento di svolta della partita: dopo un’azione della Repubblica Federale di Germania, Hamman gira il pallone a Kurbjuweit il quale, immediatamente, lancia Sparwasser. Il centravanti supera Höttges e Vogts, controllando il pallone con la faccia (!) e sviando i difensori occidentali col destro: arriva fin sotto la porta, batte Maier e insacca quando il portiere è steso a terra. Occidentali impietriti.
Lo stadio di Amburgo esplode, Sparwasser corre alzando un pugno al cielo e rigirandosi in una capriola mentre correva verso la pista d’atletica che abbracciava il verde rettangolo di gioco, prima d’essere letteralmente sopraffatto da tutti i compagni di squadra.
La partita terminò così, con gli ossis dilettanti che riuscirono a battere quello che ora verrebbe definito calcio moderno, quello degli sponsor e di società che tesserano “campioni” (che si rivelano tutt’altro in corso di campionato) pagandoli fior di quattrini dimenticandosi di tifoserie e del sentimento popolare legato a colori, squadre, società.
Sparwasser, infatti, divenne un mito per tutta la DDR, andando a scardinare il luogo comune: stavolta era davvero il comunismo ad aver sconfitto il capitalismo.

(marco piccinelli)


giovedì 8 giugno 2017

Il "Corridore Cosmico" e la musica elettronica realizzata per gli atleti della DDR

Martin Zeichnete nasce a Dresda nel 1951, in piena DDR. Nel 1971 inizia a lavorare per la DEFA (Deutsche Film-Aktiengesellschaft), studio cinematografico dello Stato. La formazione musicale del nostro, presumibilmente, è quella di molti altri suoi connazionali: fra Kraftwerk e Krautrock (anche se è più ortodosso usare il termine Kosmische Musik), minimalismo musicale, elettronica e rivoluzione artistica. Ma c'è di più: Zeichnete ama correre e ha capito che i ritmi incalzanti e la ripetitività delle canzoni elettroniche dei Kraftwer e affini sono ideali per la sua pratica sportiva; lo spingono a continuare e ad andare oltre nelle sue prestazioni.
In tutta certezza, deve aver pensato questo, mentre indossava uno stereobelt, preso in prestito da chicchessìa, e si sparava nelle orecchie i Kraftwerk, i Neu! e tutta la Kosmische Musik del tempo, mentre procedeva nella sua corsa quotidiana.
Ha pensato, insomma, che quei ritmi incalzanti potevano rappresentare una svolta nelle prestazioni degli atleti della DDR, dato l'amore e la passione dei tedeschi orientali per le discipline olimpioniche.


Sottopone l'esperimento e le idee ad alcuni colleghi e il nostro Martin, di punto in bianco, viene mandato a Berlino Est dalle autorità dello Stato Socialista. Martin teme il peggio ma, in realtà, dopo un colloquio con le autorità berlinesi, viene portato in uno studio di registrazione dato che gli viene chiesto, in sostanza, di lavorare alla "colonna sonora" del Comitato Olimpico Nazionale. Martin chiede un Moog per registrare, ma non è proprio quel che si dica politicamente corretto ottenerne uno nella Germania orientale, dunque dovrà arrangiarsi con quel che il Governo si è premurato di fargli avere. Non poco, per la verità. Non poco per il tempo che fu.



Ha inizio il progetto 14.8L: Kosmische Musik per gli atleti olimpici della Repubblica Democratica Tedesca. Uno dei più strani trip musicali che Martin e alcuni suoi compagni chiamarono Projekt Kosmischer Läufer. Il nome, tradotto letteralmente, sarebbe corridore cosmico ma è più probabile che i nostri stessero attuando un gioco di parole spostando e utilizzando il concetto di kosmische musik unita alla disciplina della corsa. Martin e i suoi, che da qui in poi chiameremo col loro nome, ovvero Projekt Kosmischer Läufer, produrranno una consistente quantità di ore di musica con tutto il materiale che hanno a disposizione: strumenti tradizionali (basso, chitarra, batteria), sintetizzatori, primi computer, insomma, riesce a realizzare davvero tre dischi, vale a dire i tre volumi del Programma segreto di Musica cosmica del programma olimpico della DDR.

Il primo volume doveva permettere «al corridore medio di completare un percorso di 5 chilometri ad un ritmo ragionevole, inclusi 3 minuti di riscaldamento e defaticamento». Il secondo volume rappresentava un lavoro più ampio ed era dedicato alla quasi totalità degli atleti tedeschi orientali: «dalla corsa agli esercizi ginnici, fino ai pattinatori su ghiaccio». Il terzo, infine, prevedeva «un programma per i corridori (tracce da 1 a 3), terminando con una ('Für Seelenbinder') dedicata al lottatore olimpico ed eroe comunista Werner Seelenbinder». La seconda parte del lavoro rappresenta una colonna sonora di un filmato animato perduto ma ritrovato (e pubblicato) dalla casa discografica che ha rimesso in produzione i lavori del Projekt Kosmischer Läufer: si tratta della traccia Traum von der Golden Zukunft, la quale sarebbe dovuta essere parte del filmato realizzato per sponsorizzare i Summer Games che si sarebbero dovuti tenere nel 1984 a Berlino Est. Il progetto venne abbandonato e la traccia non servì a nulla. 
Martin se ne andò nella Germania Ovest poco prima della caduta del Muro e non fece mai più ritorno nella parte orientale.

La storia è più o meno questa.
Peccato che non esista nessun Martin Zeichnete e nessun Projekt Kosmischer Läufer.

Kosmischer Läufer è un collettivo tedesco che sta componendo tracce elettroniche ispirandosi a quelle dei decenni sopra citati inventandosi tutta una storia sul come i musicisti in questione della nostra epoca siano riusciti a reperire il materiale che, a detta loro, stanno solo riproducendo e non creando ex novo. Così come spesso accade in letteratura, l'antefatto è finzione, utile a creare aspettativa, interesse e attenzione per il progetto che, in questo caso, non è un'opera libraria ma un gruppo musicale.
In Germania, Kosmischer Läufer, ha avuto subito una risposta stra-positiva e oltre alla produzione sulla piattaforma bandcamp si sono subito prodotti vinili e magliette, insomma, tutto quello che si confà ad un gruppo del nuovo millennio.
La musica e l'ostalgie rimane quella di qualche decennio fa.  
La prima esibizione, Kosmischer Läufer, l'ha tenuta recentemente a Graz e tramite il proprio sito ha messo in vendita il disco in formato digitale (e in vinile) dell'esibizione.

Zeit zum Laufen!


(marco piccinelli)

sabato 20 maggio 2017

Torino, Gabrio, Superga

"Ho visto che avete una pagina facebook e un blog, ma il blog non è che lo aggiorniate proprio spesso, vero?". È vero, il blog non è che l'abbiamo aggiornato con la stessa distanza della pagina facebook, anzi, tutt'altro. Ci siamo buttati a capofitto nel turbinìo di presentazioni e di organizzazione delle stesse, cercando librerie, contattando amici e compagni per far sì che potessimo portare più in giro possibile 'Calcio e Martello'. Le prime presentazioni vanno bene, la casa editrice ci fa sapere, flicissima, che "il libro vende", e allora noi ci sentiamo ancora più spinti a continuare. Poi, arriva un contatto di Torino, al Gabrio. Accettiamo di buon grado e partiamo per la Prima Capitale d'Italia. Con la scusa della presentazione, per cui ringraziamo il Gabrio per la cortesia e l'ospitalità che ci ha concesso, ci siamo girati Torino e siamo andati a rendere il giusto omaggio a Superga, luogo dell'omonima strage aerea che spazzò via il Grande Torino.

Alla prossima (che sarà alla sezione del Partito Comunista di Torre Maura - Roma, venerdì 26 alle ore 17:00)!





mercoledì 12 aprile 2017

Kwang-Son Han: il primo gol nordcoreano in Serie A


Kwang-Son Han, 18 anni, nazionalità: Nord Corea. 
È bene riscrivere il nome del paese (Nord Corea: grassetto, corsivo, sottolineato) che ha dato i natali a questo attaccante classe 1998 il quale, vestendo la maglia dei sardi del Cagliari, è entrato di diritto nella Storia del Calcio siglando il primo gol di un nordcoreano in Serie A. 
Paolo Tomaselli, sul ‘Corriere della Sera’, il giorno dopo la partita disputata al Sant’Elia contro il Torino che ha visto il nostro segnare per la prima volta nella massima serie italiana, ha scritto: «Un gol tardivo, inutile (2-3 per il Torino nda). Ma storico. Perché per noi dal 19 luglio 1966 e dal gol di Pan Dio-Ik contro gli azzurri al mondiale inglese, la Corea del Nord è semplicemente “la Corea”: la madre di tutte le sconfitte. […] Domenica Han ha segnato con la maglia celebrativa proprio del tricolore (vinto dai sardi) del 1970. Il cerchio in qualche modo si è chiuso»
“L’Italia e la nemesi della Nord Corea”, verrebbe da dire parafrasando e ironizzando un poco. Anche se in questo caso di ‘scherzo’ c’è veramente poco: il classe 1998 nordcoreano, prima di segnare con la Prima Squadra, ha partecipato al Torneo di Viareggio siglando un gol spettacolare in mezza rovesciata con la Primavera rossoblu. 

La stampa italiana, tuttavia, anche questa volta, non ha brillato e i grandi gruppi editoriali (così come i siti d’informazione sportiva) si sono mostrati tutti “allineati e coperti” mostrando più facce dello stesso prisma qual è quello del “pensiero unico”: dagli articoli sui gol di Han si passava immediatamente a quelli del «tremendo regime» nordcoreano, si affermava - ma rigorosamente senza citare fonti - che le squadre di calcio subiscono «torture ideologiche» come quelle inflitte alla nazionale dopo il mondiale sudafricano del 2010. E, infine, come Han sì, sia bravo ma deve sperare che non venga convocato (come riporta addirittura l’Ansa!) in nazionale, data la fine che fanno le nazionali nordcoreane. Il punto, però, è che Han in nazionale è già stato convocato e, anzi, ha brillato. Esattamente come con la primavera e con la prima squadra Sarda. Il calcio, in Nord Corea, ha pari dignità di tutte le altre discipline sportive, così come fu nei paesi socialisti dell’Europa dell’Est, dell’URSS e via dicendo. Il calcio, in Nord Corea, ha dato già grandi soddisfazioni nelle giovanili e perfino in un settore che in Italia viene costantemente bistrattato e relegato ai suoi stereotipi, nonostante le manifestazioni di facciata “made in FIGC” che ne vorrebbero la sua «valorizzazione». Si sta parlando, ovviamente, del calcio femminile. La nazionale ‘rosa’ della Nord Corea è una realtà consolidata, dalla prima squadra fino alle giovanili e proprio queste ultime (Under 17 e Under 15) si sono tolte parecchie soddisfazioni in varie occasioni. La stampa, insomma, di fronte al primo gol nordcoreano reagisce citando Razzi e frasi strampalate non verificate di Kim Jong Un. Un classico, verrebbe da dire. 


Non è stata da meno, poi, la reazione della politica: Lia Quartapelle e Michele Nicoletti (entrambi del Partito Democratico) hanno addirittura portato la questione alla Camera dei Deputati.
«La presenza di giocatori nordcoreani a così alto livello - recita la mozione presentata in Parlamento dai due deputati del Partito Democratico - in squadre di Serie A, darebbe massima evidenza alla violazione delle sanzioni internazionali da parte della Corea del Nord, nonché configurerebbe la presenza nel nostro Paese di lavoratori extracomunitari con minori garanzie di godimento dei diritti e delle libertà civili» prendendo a pretesto quello che le “organizzazioni per i diritti umani” scrivono a riguardo della Corea Popolare. Un paese, a dire di queste organizzazioni, in cui è «vietato l’uso di social network», «non c’è internet» e per cui i lavoratori nordcoreani che emigrano andando a lavorare in altri Paesi si dice che «non possono tenere per loro lo stipendio guadagnato» e le comunicazioni «con la Nord Corea possono avvenire solo per corrispondenza»
Menzogne si mescolano a inesattezze e invenzioni, così come fa l’attivista “pro-human-rights” Yeonmi Park, la cui versione sulla fuga da Hyesan (sua cittadina natale) è cambiata già svariate volte e la cui veridicità è venuta già ampiamente meno.

Kwang-Son Han, in ogni caso, ha mostrato a tutti, nuovamente, che il dilettantismo nei paesi socialisti (e la Corea del Nord lo è, con tanti saluti a Razzi e ai prezzolati giornal[isti]ai che lo intervistano per i cosiddetti ‘pezzi di colore’ a riguardo) non è sintomo di inferiorità nei confronti del calcio occidentale e del calcio moderno. Nel 1974, infatti, una Germania Est impostata in modo eccellente a livello tattico riuscì a fermare la Germania Ovest e a vincere, addirittura, lo scontro della “Fase a Gruppi” col gol della, come si disse allora, “anonima mezz’ala”: Jürgen Sparwasser. Da lì in poi, Spari, fu un mito per chiunque. 
Chissà che non lo diventi anche Kwang-Son Han. 


Nel frattempo, il Cagliari, si gode il suo pupillo socialista.